venerdì 30 dicembre 2016

Dietro il fumo c’è la fiamma...

… come dice un vecchio detto.

E infatti, al di là di tutte le chiacchiere e le teorie strampalate stile cospirazione di un Lugli che messo di fronte alla verità non sa più su quali vetri arrampicarsi, la questione dei suoi debiti e del suo fallimento è rimasta irrisolta.

Chiaramente chi non vuole ammettere le proprie negligenze o si trova a dover fornire spiegazioni per degli scheletri nell’armadio, ha solo due opzioni: o riconoscere i propri errori e (possibilmente) scusarsi e fare ammenda, oppure spostare il problema scaricando la colpa su qualcun altro, attribuendo la responsabilità dei fatti a terzi o anche inventando qualche favola più o meno credibile.

Nel caso di Lugli e consorte, siamo decisamente nella seconda ipotesi: non solo non fanno un esame di coscienza e continuano a negare di aver combinato guai seri, serissimi a decine e decine di lavoratori, imprese e famiglie, ma addirittura si lagnano di essere perseguitati e addirittura dai servizi segreti! Questo ha veramente del grottesco.

La scarsa credibilità, quando non proprio totale assurdità, di simili asserzioni, per chi li conosce e soprattutto conosce i loro trascorsi, appare lapalissiana.

Cosa avrebbe dovuto dire quel benzinaio, di cui per rispetto non faremo il nome (ci limiteremo alle iniziali), il signor A.M. (ormai sarà molto anziano e sappiamo per certo che ha ceduto l’impianto parecchi anni or sono; chissà se è ancora in vita) che i Lugli chiamavano “la banca M.”? Cosa facevano ai tempi Claudio e Renata per racimolare liquidità e permettersi i lussi di cui non hanno mai voluto privarsi? Siccome il buon M. aveva ovviamente un costante giro di contanti, gli portavano (o gli facevano portare) degli assegni posdatati, li davano alla moglie di M. o a lui stesso e ricevevano in cambio dei contanti.

Era una prassi consolidata: per avere liquidità, Lugli faceva assegni posdatati, se li faceva cambiare con contanti (non solo da M., ma anche da altri) e poi alla scadenza il ripagava.

In seguito estesero ad altri amici tale espediente: nomi anche di spicco, un paio in particolare, fra cui un imprenditore di Collebeato (BS) ora in pensione che lo ha sempre coperto, e un ristoratore di Brescia presso il quale spesso andavano a consumare i loro pasti "da VIP".

Si potrà obiettare – più che ragionevolmente – che se onoravano quelle pendenze non si possa certo gridare allo scandalo. Vero, ma è emblematico il fatto che, con quelle persone, quegli amici (capaci di guadagnarsi da vivere e dunque in grado di far loro da “banca”) come con tutti coloro che cinicamente sfruttavano e sfruttano, per trarre un vantaggio personale non esitavano a creare situazioni di imbarazzo. In senso contabile, infatti, una pratica di quel genere è pericolosissima: basterebbe un normale controllo di routine per generare un accertamento che inevitabilmente ravviserebbe l’irregolarità di simili movimentazioni e si concluderebbe con sanzioni anche salate. Ma a loro questo non importa affatto.

Un modus operandi, quello degli artifici finanziari che avevano anche prima, a livelli ben più gravi.

Come si fa a far fallire un’azienda che, nei periodi più floridi (1987-1988), aveva fatturato fra i sette e gli otto miliardi reali di vecchie Lire? Reali, sì, perché si dice che i fatturati successivi (ben più vistosi, oltre i quindici miliardi) fossero in realtà solo “giri di carte”. Con ciò s’intende che fossero pure e semplici fatturazioni pretestuose sulla base delle quali poter emettere tratte a fini di liquidità, nella speranza di coprirle in un momento successivo grazie alle vendite realizzate.

Un simile trucco, però, sarebbe potuto funzionare per poco. In effetti, pochi anni più tardi l’azienda aveva ormai un buco stimabile fra i quattro e i cinque miliardi di Lire.

E a fare le spese del fallimento furono aziende sane, persone che incontrarono difficoltà finanziarie gravissime. Qualcuno dovette impegnare la casa, qualcun altro perse l’auto e conti in banca.

Nomi come Astor, Martinelli, Liderman, TF80/Europa88, Italmoda dovrebbero suonare familiari per chi ha sperperato soldi non propri e ne ha goduto… in barba a chi invece ha materialmente lavorato per produrre dei capi d’abbigliamento e poi s’è visto lasciare senza il becco d’un quattrino, a dover far fronte a pagamenti di forniture e personale.

Oggigiorno la prassi non è cambiata, si è solo aggiornata ai tempi odierni: in quell’ormai lontano periodo, chi faceva le spese della vita da nababbi dei “morosi coniugi” erano le aziende che lavoravano per loro, persone oneste e coscienziose che prendevano e sbrigavano le loro commesse.

Oggi sono ignari e spesso ingenui musicisti e uomini dello spettacolo, persone per loro natura inclini all’affabilità, alla sincerità nel rapporto umano, all’amicizia. Artisti: persone la cui sensibilità è più elevata rispetto alla persona comune e dunque le cui difese psicologiche, per delle vecchie volpi come Claudio e Renata, è alquanto più agevole aggirare. Ma di questo si dirà più approfonditamente in seguito.


Cesare


mercoledì 28 dicembre 2016

Non c’è il due senza il tre, e il quattro vien da sé



Come accennavamo nell’ultimo post, sono pervenute informazioni davvero interessanti a proposito della coppietta palermitana, Umberto Chifari e Marina Rubino, che sostiene Claudio e Renata Lugli a spada tratta.

Sorvoleremo sulle scappatelle reciproche perché (si sa) “fra moglie e marito…”; inoltre sono fatterelli di non particolare rilievo rispetto a condotte che provocano guai ad altre persone.

Ma che dire del padre di Marina, che lavorava alla Regione Sicilia e la fece entrare come impiegata? Nulla di nuovo sotto il sole... l'Italia delle raccomandazioni e delle "agevolazioni speciali". E per tutta risposta lei che fa? Si licenzia! (qualche anno più tardi, a dire il vero)

Ma il bello è che a inizio anni '90 Umberto e Marina avviarono un’impresa commerciale (trattavano guanti) utilizzando un prestanome, siccome erano entrambi dipendenti della Regione e quindi non avrebbero potuto svolgere attività d’impresa. Che ne è stato? Una bancarotta completa, con tanto di ripercussioni legali fra cui una causa di lavoro (che persero) da parte di una dipendente che si erano rifiutati di mettere in regola.

Evidentemente Chifari e Rubino dovettero avere guai seri dopo quel fallimentare tentativo di entrare (per interposta persona) nel mondo dell’imprenditoria, se è vero che Umberto si spinse a chiedere ed ottenere prestiti da più finanziarie contemporaneamente (quattro o cinque, addirittura!) per poi non rifonderli e ritrovarsi con il quinto dello stipendio pignorato.

Tant’è che – mormorano persone vicine a Umberto che conoscono bene i suoi trascorsi – dal suo certificato penale risulterebbe addirittura una condanna per assegni a vuoto.

Ma di tutto questo, evidentemente, alla Regione Siciliana non importa nulla.

Chiacchiere di paese? Chissà... parenti e amici di Umberto e Marina conoscono queste cose, altrimenti non ne parlerebbero anche oggigiorno, a distanza di tanto tempo…

A volte le ferite bruciano per molti anni.


Cesare

giovedì 8 dicembre 2016

MARINA, MARINA, MARINA…

Si vede che in questi giorni ho la vena “vintage” della canzone italiana d’autore (vedere sotto): riprendo infatti l’ultimo post da dove (ironicamente) l’avevo concluso, cioè l’intramontabile pezzo di Toto Cutugno.

Marina Rubino (della quale si parla a grandi linee qui) si unisce alle lagne dei “morosi coniugi” Claudio e Renata Lugli e sostiene di aver letto un post «pieno di calunnie, bugie e diffamazioni». Peccato, però, che non produca nessuna affermazione circostanziata tale da confutare quanto da me dettagliato ed evidenziato. Anche perché nel presente blog vengono riportati essenzialmente dei dati di fatto, forse nudi e crudi, ma comunque dati di fatto.

Se fossero confutabili, verrebbero confutati. Ma così evidentemente non è.

A parte queste banali ovvietà, proprio ieri sera è successo un fatto straordinariamente interessante: qui al blog è arrivata un’email (da lontanuccio, fra l’altro) dalla quale poi, oggi, si è sviluppato un intenso contatto telefonico con… qualcuno che conosce molto, molto bene Marina e adesso che ci sta raccontando un bel po’ di fatterelli davvero curiosi e per certi versi piccanti, dato che persino l’angelica pittrice si dice abbia lasciato qualche cadavere sul suo cammino.

Probabilmente non pubblicheremo granché di quanto ci riferisce questo nuovo amico, ma qualcosina forse sì. Vedremo.

Insomma, Marina… Marina… Marina…




Cesare

mercoledì 7 dicembre 2016

GALLINA CHE CANTA… HA FATTO L’UOVO!

Come si sarà capito dagli ultimi due o tre post del presente blog, sto tenendo un occhio vigile sul sito Internet che pubblicizza il centro di consulenza psicologico/filosofica di Claudio Lugli e Renata Fruscella. Sebbene ci si debba fare largo fra discorsi pressoché incomprensibili (almeno per me) e vaneggiamenti a dir poco inquietanti su presunte capacità tipo super poteri e cose di quel genere, ultimamente c’è stato qualche accenno alle tematiche alquanto più terra-terra alle quali un “grillo parlante” come il sottoscritto tenta da anni di ricondurli.

Addirittura, a quanto pare si sta instaurando una sorta di contraddittorio a distanza fra questo blog e quello di Lugli, anche se i discorsi spesso deliranti dei “morosi coniugi” Claudio e Renata tendono a divagare chiacchierando di fatti astrusi o di presunti accadimenti dei quali – francamente – nulla so e nulla desidero sapere.

E così, fra una lamentela infantile e un piagnisteo melodrammatico, consolato dai suoi accoliti, Lugli sostiene di aver «invitato più volte» chi gestisce il presente blog (peraltro definendolo cinese… non è dato sapere cosa intenda) «a farsi avanti e a contattarci di persona». Peccato che né a me né a chi mi aiuta a gestire questo blog sia mai arrivata una singola e-mail o contatto tramite il blog stesso o il relativo account, da parte dei Lugli.

Citano invece un mio caro amico, Fabio V., il cui profilo Facebook (come lui stesso ha precisato), è stato oggetto alcuni mesi fa di un inspiegabile quanto improvviso blocco che l’ha costretto a cambiare il nominativo (di cui lui non ha peraltro mai fatto mistero) modificandolo in Fabius Rimini (seppur bresciano, è innamorato della Romagna e ha vari interessi e parenti in quella zona). Fabio sta effettivamente facendo conoscere il blog a molte persone, via Internet e non solo, perché è solo uno dei tanti ad aver condiviso con me, anche se indirettamente, la devastazione provocata dai Lugli con il loro fallimento e i vari raggiri prima-durante-dopo, nel più assordante silenzio da parte delle istituzioni.

Tanto più che lo stesso Fabio ha cercato di stringere amicizia in Facebook sia con Claudio sia con Renata, ma… guarda un po’: l’hanno negata entrambi. Se avessero voluto realmente stabilire un contatto, come minimo l’avrebbero accettata! Che inviino loro, dunque, la richiesta di amicizia a Fabio, se davvero intendono parlamentare.

D’altro canto, in fin dei conti l’unico approccio che potrebbe venire accettato da persone come noi, che a premio del proprio lavoro si sono ritrovati con un bel debito e guai da affrontare, sarebbe – sul piano materiale – un congruo risarcimento danni, e – sul piano morale – come minimo delle scuse. Altro che cresta da gallo cedrone!

Loro sanno perfettamente chi siamo, anche se sono passati venticinque anni. Saprebbero anche come rintracciarci e come venire a trovarci. Fossero solo un po’ più onesti con se stessi e desiderosi di fare ammenda dei mali che hanno provocato a centinaia di persone, aziende e famiglie.

Ma già sappiamo che questa è mera utopia.

E allora… lasciatemi cantare!



Cesare


PS. [Aggiornamento dell’8 Dicembre sera] Colmo dei colmi! Uno dei loro aficionados, tale Massimiliano, si spinge fino al punto di sostenere che «lo sanno tutti dove abita»: davvero ridicolo! Sì, tutti sanno dove abita, ma lui sta ben attento a non metterlo per iscritto e a tenerlo nascosto, come evidenziato nell’ultimo post. Chissa perché?


domenica 4 dicembre 2016

L’irregolarità sempre e comunque, senza pudore


Il lupo perde il pelo ma non il vizio?

Era già stato oggetto di un precedente post di questo blog il fatto che Claudio Lugli dichiarava un indirizzo di residenza fasullo (in quanto non più attuale) in occasione di un repentino riassetto societario, avvenuto nel 2013, che aveva fatto da preludio alla misteriosa cessione della «Swing S.r.l.» (precedente società) ad un pakistano appena quarantenne residente a Brescia, e alla successiva comparsa della «Black Label S.n.c.»

Le informazioni più aggiornate della Camera di Commercio mostrano però che tale espediente messo in atto da Lugli (evidentemente) per non farsi raggiungere da chi lo conosce bene, come per esempio le centinaia di creditori rimasti insoddisfatti dai tempi del suo fallimento, è a tutt’oggi una sua prassi.

Ecco infatti una visura aggiornata della «Black Label S.n.c.», la ditta cui fa capo l’ultimo negozio rimasto di Lugli, in centro a Brescia, amministrato (sulla carta) da lui stesso e dal suo prestanome di sempre, Armando Comincini.







Qui i dettagli dei due soci e amministratori:




Come si può notare, l’indirizzo di Lugli è rimasto quello degli anni '90, valido (forse) fino al 2004, ma non oltre:



La cosa sembra ancora più strana se si tiene conto di quest’altro fattore: in Aprile di quest’anno, viene registrata a protocollo una «comunicazione ai fini INPS», molto probabilmente una variazione di qualche posizione contributiva.


















Decisamente equivoco il fatto che nemmeno a fronte di una tale comunicazione venga rettificata l’informazione falsa.

D’altro canto, quando non ci si vuole far trovare, è solo perché si ha una buona ragione per nascondersi.

Cesare